Archivio per giugno, 2013

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Desaparecidos: 35 accusati tra i quali 3 ex capi di Stato
È terminata l’inchiesta sul Piano Condor che prevedeva l’eliminazione dei sovversivi in 7 Paesi sudamericani. Tra le vittime, secondo la Procura di Roma, ci furono 8 italiani. Rischiano di finire a giudizio anche l’ex capo dei Servizi del Cile e l’ex ministro dell’Interno della Bolivia, Arce.

Dopo oltre 10 anni di indagini la Procura della Repubblica di Roma ha concluso, con la richiesta di 35 rinvii a giudizio, l’inchiesta sul cosiddetto Piano Condor.

Si trattava di un accordo che negli anni Settanta intervenne tra le forze al potere in sette Paesi sudamericani che avevano un unico obiettivo, quello di eliminare gli oppositori ai regimi. La richiesta del rinvio a giudizio per i reati di strage, omicidio plurimo aggravato, sequestro di persona ed altro vede come imputati 2 boliviani, 12 cileni, 7 peruviani e 17 uruguaiani di età compresa tra i 92 e i 64 anni. A loro il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo attribuisce la responsabilità della eliminazione di 23 cittadini italiani scomparsi tra il 1973 e il 1978.

L’indagine avviata in seguito alla denuncia presentata il 9 giugno del 1999 dai famigliari di 8 italiani“desaparecidos” vittime della repressione aveva coinvolto tra gli altri anche i capi del regime come i dittatori Augusto Pinochet, Jorge Videla e Eduardo Massera che sono tutti deceduti nel corso dell’inchiesta. Ora tra le persone che potrebbero finire a giudizio figure eccellenti come il generale Luis Gomez Arce, ex ministro dell’Interno della Bolivia, l’ex capo della Dina (servizi segreti del Cile) Juan Manuel Contreras, il generale Francisco Morales Belmudesh che fu per cinque anni presidente del Perù, l’ex premier peruviano Pedro Richter Prada. Mentre per l’Uruguay è stato chiesto il processo per gli ex dittatori Juan Maria Bordaberry e Gregorio Conrado Alvarez Armellino e l’ex ministro delle Relazioni estere Juan Carlos Blanco.

La chiusura dell’inchiesta risale a tre anni fa e riguardava 140 persone (tra le quali anche 59 argentini, 11 brasiliani e 6 paraguayani) ma problemi burocratici legati alla notifica e la morte di numerosi esponenti delle giunte militari hanno fatto diminuire il numero dei soggetti a rischio di processo. Le indagini sono durate circa 10 anni. (Info: Il fatto quotidiano)

http://www.granma.cu/italiano/esteri/21jun-Gli%20italiani.html

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Marco Masciaga – Petrolio, nasce l’asse Russia-Cina: mega-contratto da 270 miliardi di dollari per il colosso statale Rosneft

Con una mossa destinata a spostare decisamente verso Oriente il baricentro del proprio business, il colosso energetico russo Rosneft ha firmato venerdì a San Pietroburgo un contratto con la Cina che gli consentirà di esportare verso Pechino 365 milioni di tonnellate di petrolio nell’arco di 25 anni. Il contratto, del valore di 270 miliardi di dollari, è uno dei più grandi mai siglati nella storia dell’industria energetica mondiale.

Per comprendere la portata dell’accordo basta pensare che i 600mila barili al giorno di fornitura sono esattamente il doppio di quanto inviato attualmente in Cina dalla società moscovita. Dopo l’annuncio ufficiale, il presidente russo Vladimir Putin non ha escluso che il totale delle forniture a Pechino possa un giorno salire fino a 900mila barili al giorno. Un’ipotesi non così improbabile se si tiene conto del fatto che lo scorso novembre, secondo i dati dell’Iea, la Russia ha superato l’Arabia Saudita diventando il primo produttore mondiale, mentre la Cina è ormai stabilmente il secondo consumatore del pianeta dopo gli Stati Uniti.

Con questo contratto – e gli anticipi che comporta, nell’ordine di 60-70 miliardi di dollari – Rosneft ha la possibilità di alleggerire in maniera sostanziale il proprio indebitamento e trovare nuove risorse con cui sviluppare i suoi giacimenti artici.

L’accordo ha anche implicazioni geopolitiche difficili da ignorare. Con il nuovo contratto Rosneft, una società statale che oggi è leader incontrastata del mercato petrolifero russo, sposta verso una regione a forte crescita come l’Asia una parte importante del proprio sforzo distributivo, ridimensionando così la propria esposizione verso gli assai meno dinamici mercati europei. Il nuovo accordo non comporterà automaticamente una redistribuzione verso Est della produzione attuale, ma determinerà piuttosto l’invio verso la Cina di quanto inizierà a venire estratto di qui a pochi anni nei nuovi giacimenti di Rosneft in Siberia Orientale.

Per Pechino il deal con il colosso russo rappresenta un passo ulteriore verso quella sicurezza energetica che è sempre più centrale nelle strategie di crescita cinesi. La seconda economia mondiale è sempre più dipendente dalle importazioni di petrolio per alimentare le proprie industrie e da alcuni anni sta facendo in modo di non dipendere troppo da singoli fornitori e da singole rotte.

L’accordo con Rosneft rafforza i rapporti con un produttore non-Opec (a Vienna la Russia è un semplice Paese osservatore) e utilizza una direttrice (in Asia nord-orientale) meno rischiosa di quelle che portano in Cina il greggio mediorientale attraverso l’Oceano Indiano e lo Stretto di Malacca. La fragilità di quella rotta è da tempo considerato un fattore di rischio dagli strateghi cinesi che da una parte spingono per un rafforzamento della presenza navale di Pechino nell’Oceano Indiano e dall’altra per la creazione di un oleodotto e di un gasdotto che colleghino il porto birmano di Sittwe con la regione cinese dello Yunnan così da bypassare lo Stretto di Malacca, un collo di bottiglia facilmente bloccabile da forze ostili a Pechino in caso di conflitto.

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-06-21/petrolio-nasce-asse-russiacina-152414.shtml?uuid=AbOIt66H

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Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l’industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “…il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Gli economisti sono fatti così, dopo avevano previsto tutto prima.Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta… Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell’ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla.

Gianni Petrosillo
Fonte: http://www.conflittiestrategie.it
Link: http://www.conflittiestrategie.it/linganno-delleuroamerica-sotto-il-vestito-dellideologia-tutto

http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=11984

#Rivoluzione

Pubblicato: 18 giugno 2013 in Al lettore, cultura politica
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SCRITTORE

Le speculazioni utopistiche possono aiutare a liberarci dall’abitudine di dare per scontato lo status quo, farci pensare a cosa vogliamo veramente a cosa potrebbe essere possibile. Ciò che rende “utopistiche”, nel senso peggiorativo che Marx ed Engels hanno criticato, è la mancata presa in considerazione delle condizioni presenti. Di solito non c’è una idea seria di come potremmo arrivare da qui a lì. Ignorando i poteri coattivi e repressivi del sistema, gli autori utopistici generalmente creano nella loro mente visioni di qualche cambiamento semplicistico e cumulativo, immaginando che, con la diffusione della comunità e delle idee utopiche, sempre più persone saranno spinte ad unirsi e il vecchio sistema semplicemente crollerà (Ken Knabb 1997)

Non è facile trovare le parole per rendere giustizia al concetto Rivoluzione. Per quante definizioni o semplici pensieri mi vengano in mente, mi accompagna sempre la domanda: che sia mai la Rivoluzione?. Ciò che so è che quando si presenta una condizione che non mi soddisfa, mi sembra sbagliata, ingiusta, ciò che mi vien di fare è tentar di cambiarla. Non sono un rivoluzionario di professione, ma almeno cerco di non praticare il silenzio, questo credo sia importante.

Vorrei parlare anche di come si fa la Rivoluzione,secondo la mia modesta opinione. Si parla spesso di sovvertire una condizione, “il sistema”. Esiste molta letteratura su quei gruppi rivoluzionari, che tanto piacciono a noi giovani sognatori “piccolo-borghesi” , che mantenendo una linea di condotta atta alla disobbedienza e alla sovversione hanno spesso tempo e sangue, perfino la vita, nel perpetrare le loro idee. Ora, ciò che si fa di questa letteratura è un uso improprio. Si perde di vista spesso, che sia per convenienza o per ignoranza, della condizione specifica sulla quale operavano i diversi movimenti rivoluzionari. Questa considerazione, non solo cambia e distingue, ma ci porta a riconsiderare per intero il concetto stesso di come fare il Cambiamento. Vuoi cambiare le cose, prima devi esser dentro a queste cose. Bisogna conoscere il male per poter godere del bene, se non vuoi che quel bene di venti noia.

Considerazioni poetiche a parte, è mia opinione che se vuoi cambiare questo mondo marcio, corrotto, incestuoso e auto-distruttivo, devi farti strada nelle sue cosce prima di poterlo guardare negli occhi. Se vuoi far politica, devi imparare il compromesso, la diplomazia. Che tu abbia un idea, un sogno dentro di te, è bene, ma non farne la tua condotta e strategia. Devi raggiungere la condizione necessaria e sufficiente affinché tu abbia gli effettivi strumenti per cambiare le cose: il Potere. La Rivoluzione sta nel raggiungere l’apice di quel desiderio meschino, che tu vuoi combattere, appropriartene e quando ti si presenta la scelta se goderne o utilizzarlo per il bene comune, devi scegliere il bene comune. Per raggiungere tale potere devi far politica, devi utilizzare quanto ti viene offerto per raggiungere uno status adeguato, difendibile, legittimato, con capacità offensiva.

Questa per me è la Rivoluzione combattere alla pari, con gli stessi poteri del nemico, e che vinca il migliore.

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L’11 giugno del 1984 Enrico Berlinguer si spegneva colto da un ictus sul palco di Piazza della Frutta, a Padova. Se ne andava un grande politico, onesto e comunista. Quanto ci manca oggi Enrico!

Non starò qui a ricordare chi era Enrico Berlinguer e quello che ha rappresentato per intere generazioni che si sono legate a lui, e alla sua lotta, e che hanno visto lacrime amare rigare le proprie guance quando, l’11 giugno 1984, si spense a causa di un’emorragia celebrale dopo essere stato colpito da un malore nel bel mezzo di un comizio in Piazza della Frutta, a Padova, mentre pronunciava la frase: “Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda“. Sarebbe inutile ricordare la statura politica e morale dell’uomo, Enrico Berlinguer, basterebbe ricordare che era un “comunista”, e lo rimase, nonostante tutto, pur sostenendo che alla fine si trovava meglio sotto l’ombrello della Nato, o che ci voleva la “via italiana” al socialismo, una via diversa da quella che avrebbero voluto al Cremlino. Quel maledetto 7 giugno, quando si sentì male a Padova, si era accasciato a terra in diretta tv, ma tuttavia, nonostante fosse provato dal malore, continuò il discorso fino alla fine, nonostante anche la folla urlasse “Basta, Enrico!“. Alla fine del comizio rientrò in albergo dove si addormentò sul letto della sua stanza, entrando subito in coma. Dopo il consulto con un medico, venne trasportato all’ospedale Giustinianeo e ricoverato in condizioni drammatiche. Sarebbe morto l’11 giugno, lasciando un vuoto incolmabile nella politica italiana, che ancora lo piange di fronte al vuoto cosmico delle nuove classi politiche che lo hanno sostituito. Oggi forse, Enrico piangerebbe lacrime amare vedendo in che stato versa la sinistra italiana, e mai come oggi le sue parole sulla questione morale sono attuali: “La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.“

Ci manchi, Enrico.

http://www.tribunodelpopolo.it/berlinguer-addio/

Ormai sta nascendo il nuovo millennio. La faccenda non e’ da prendere troppo sul serio:in fin dei conti, l’anno 2001 dei cristiani e’ l’anno 1379 dei musulmani, il5114 dei Maya e il 5762 degli ebrei.
Il nuovo millennio nasce un primo dell’anno per opera e grazia di un capriccio deisenatori dell’impero romano, i quali, un bel giorno, decisero di rompere latradizione che imponeva di celebrare l’anno nuovo all’inizio della primavera. Ilconteggio degli anni dell’era cristiana proviene invece da un altro capriccio: un belgiorno, il papa di Roma risolse di porre una data alla nascita di Gesu’, benche’ nessunoabbia mai saputo quando davvero nacque.
Il tempo si burla dei confini che noi inventiamo per credere che lui ci obbedisca:tuttavia, il mondo intero celebra e teme questa frontiera .Un invito al volo – Millennioche va ,Millennio che viene – l’occasione e’ propizia agli oratori dalla retoricainfiammata che disquisiscono sul destino dell’umanita’ e a quei messaggeridell’ira di Dio che annunciano la fine del mondo e lo sfascio generale; intanto, iltempo continua, silenzioso, il suo cammino lungo le vie dell’eternita’ e del mistero.
In verita’, non c’e’ nessuno che sappia resistere: in una data simile, per arbitrariache sia, chiunque sente la tentazione di domandarsi come sara’ il tempo che sara’. Abbiamouna sola certezza: nel ventunesimo secolo, se ancora saremo qui, tutti noi saremo gentedel passato millennio. E benche’ non possiamo indovinare il tempo che sara’, possiamoavere almeno il diritto di immaginare come desideriamo che sia.
Nel 1948 e nel 1976, le Nazioni Unite proclamarono le grandi liste dei diritti umani:tuttavia la stragrande maggioranza dell’umanita’ non ha altro che il diritto divedere, udire e tacere. Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato dirittodi sognare? Che direste se delirassimo per un istante?
Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile:l’aria sara’ pulita da tutto il veleno che non venga dalla paure umane e dalle umanepassioni; nelle strade, le automobili saranno schiacciate dai cani; la gente non sara’guidata dalla automobile, non sara’ programmata dai calcolatori, ne’ sara’ comprata dalsupermercato, ne’ osservata dalla televisione; la televisione cessera’ d’essere ilmembro piu’ importante della famiglia e sara’ trattato come una lavatrice o un ferro dastiro; la gente lavorera’ per vivere, invece di vivere per lavorare; ai codici penali siaggiungera’ il delitto di stupidita’ che commettono coloro che vivono per avere eguadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saperdi cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare; in nessun paese verrannoarrestati i ragazzi che rifiutano di compiere il servizio militare; gli economisti nonparagoneranno il livello di vita a quello di consumo, ne’ paragoneranno la qualita’ dellavita alla quantita’ delle cose; i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia esserecucinate vive; gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi; i politicinon crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse; la solennita’ non sara’ piu’ unavirtu’, e nessuno prendera’ sul serio chiunque non sia capace di prendersi in giro; lamorte e il denaro perderanno i loro magici poteri, e ne’ per fortuna ne’ per sfortuna, lacanaglia si trasformera’ in virtuoso cavaliere; nessuno sara’ considerato eroe o tontoperche’ fa quel che crede giusto invece di fare cio’ che piu’ gli conviene; il mondo nonsara’ piu’ in guerra contro i poveri, ma contro la poverta’, e l’industria militaresara’ costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sara’ una mercanzia, ne’ sara’ lacomunicazione un’affare, perche’ cibo e comunicazione sono diritti umani; nessunomorira’ di fame, perche’ nessuno morira’ d’indigestione; i bambini di strada nonsaranno trattati come spazzatura, perche’ non ci saranno bambini di strada; i bambiniricchi non saranno trattati come fossero denaro, perche’ non ci saranno bambini ricchi;l’educazione non sara’ il privilegio di chi puo’ pagarla; la polizia non sara’ lamaledizione di chi non puo’ comprarla; la giustizia e la liberta’, gemelli siamesicondannati alla separazione, torneranno a congiungersi, ben aderenti, schiena controschiena; una donna nera, sara’ presidente del Brasile e un’altra donna nera, sara’presidente degli Stati Uniti d’America; una donna india governera’ il Guatemala eun’altra il Peru’; in Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio disalute mentale, poiche’ rifiutarono di dimenticare nei tempi dell’amnesiaobbligatoria; la Santa Chiesa correggera’ gli errori delle tavole di Mose’, e il sestocomandamento ordinera’ di festeggiare il corpo; la Chiesa stessa dettera’ un altrocomandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; sarannoriforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverrannosperanzosi e i perduti saranno incontrati, poiche’ costoro sono quelli che si disperaronoper il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporaneidi tutti coloro che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importadove siano nati o quando abbiano vissuto, giacche’ le frontiere del mondo e del tempo nonconteranno piu’ nulla; la perfezione continuera’ ad essere il noioso privilegio degli dei;pero’, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sara’ vissuta come se fossel’ultima e ogni giorno come se fosse il primo.

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Lo stato nazionale moderno e il sistema internazionale

L’ambito all’interno del quale si svolge la vita politica è definito sia da una complessa armatura giuridico-burocratica e istituzionale sia da un ‘articolata identità politico-culturale. Questi due aspetti vengono normalmente colti dai concetti di stato e nazione.

Stato

Una costruzione organizzativa, attraverso la quale un sistema potestativo sufficientemente coerente esercita la sua preminenza su un territorio definito.(Weber)

Si distingue poi lo stato democratico dedito ad assicurare il benessere comune, e lo stato poliziesco,Stato-caserma che si fa forza invece di strumenti coercitivi per mantenere il potere autoritario.

Nazione

Il secondo concetto fa riferimento ad elementi di natura culturale ed affettiva che definiscono una comune identità di appartenenza.

Sovranità

Caratteristica astratta, che emerge dalla combinazione dei concetti stato e nazione, è la sovranità che si distingue tra interna e esterna.

Si dice interna quella autorità che all’interno di uno stato prevale sulle altre. Si dice sovranità esterna quella autorità che non ha potere oltre i confini nazionali e che non può intervenire entro altri confini se non i propri.

Da un punto di vista empirico, invece:

  • Sul piano interno la democrazia , sostituendo l’autoritarismo, a rivoluzionato il concetto di sovranità, spostando questo potere dalle istituzioni al popolo. C’è da far notare che con le numerose limitazioni legislative, e la creazione di nuove istituzioni, il concetto di sovranità popolare non deve esser preso alla lettera.

  • Sul piano internazionale, le differenti situazione economiche tra i diversi stati partano a continui contatti, e non si escludono alcuni tipologie di influenza sulle politiche.

I caratteri del sistema internazionale:teorie a confronto

Questa realtà viene designata come sistema Westfalia, e afferma in Europa i principi della prevalenza dello stato sovrano come forma di organizzazione politica e della parità di dignità tra questi come carattere del sistema internazionale.

Il sistema Westfalia descrive un sistema di stati, dove non vi è autorità riconosciuta superiore, un sistema anarchico.

Teorie realiste e teorie liberali

  • Le teorie realiste pongono al centro il problema della sicurezza. Non essendoci nessuna autorità superiore che regoli la convivenza, ogni stato è portato ad aumentare la propria produzione di sistemi di difesa, timorosi che gli altri stati possono attaccarli. Si crea così un balance power tra gli stati un equilibrio che mantiene gli stati timorosi l’uno dell’altro, ma non belligeranti. Se questo equilibrio dovesse rompersi, si arriverebbe certamente ad una guerra.

  • Le teorie neo liberiste, partendo dagli stessi assunti, sostengono che la tensione creatasi tra gli stati, sia mitigata, da un alto livello di interdipendenza economica, e la voglia di non provocare disastri internazionali. Questo poeterebbe ad un forte sentimento di cooperazione economica, solidificato con la costruzione di istituzioni internazionali, che faciliterebbero tali interazioni.

Le proprietà del sistema internazionale

Per analizzare il sistema internazionale bisogna tener conto di alcune proprietà. La prima è il numero degli attori presenti. Le differenze di peso: stati più potenti e stati meno potenti. Attori ricchi di risorse, che non sono uguali ai precedenti, poiché non è detto che uno stato che sia ricco di materie prime abbia anche un peso internazionale. Infine una analisi del sistema internazionale non dovrebbe trascurare alcuni rilevanti soggetti non statali,dalle grandi aziende multinazionali, alle organizzazioni non governative,alle chiese,ai movimenti ecologici.

Complesso anche il sistema di interazione tra gli stati. Generalmente le interazioni sono organizzate in aree, solo alcuni attori dialogano con tutti gli stati, definendosi attori globali. La maggior parte degli attori interagisce maggiormente in una regione soltanto o addirittura in sotto-zone (sotto-insiemi).

Conflitto e cooperazione tra gli stati.

È importante analizzare la qualità delle interiezioni tra gli attori, anche fino alla sua forma estrema, la guerra. Diverse sono le spiegazione:

  • caratteri del sistema nel suo complesso(squilibri di potenza)

  • carattere propri dei singoli attori statali(democraticità,nazionalismo)

  • processi interni(competizione tra partiti)

  • caratteristiche diadiche(rapporto tra coppie di attori internazionali)

Le relazioni commerciali tra gli stati mantengono un fitto tessuto pacifico tra gli stati. Numerosi interessi economici tra gli stati mantengono viva la cooperazione : anche se secondo i realisti ,per una vera cooperazione bisogna superare la paura e la tensione bellica tra gli stati.

Come la politica interna influisce sulla politica internazionale

Studi di state- e nation-bulding hanno rilevato come trasformazioni delle strutture politiche interne possano influire e cambino la scena internazionale e producano forme di conflitto bellico diverse dal passato. Le ragioni sarebbe da rilevarsi nella natura del regime politico, in particolare quello autoritario sarebbe più propenso a questo aspetto.

Per i regimi democratici, ci si è chiesti quanta influenza abbia l’opinione pubblica sulle decisioni politiche. Recenti studi hanno rilevato che, negli ultimi tempi, l’opinione pubblica è più informata , attiva, e che esercita una influenza da non sottovalutare.

Gli stati seguono interessi nazionali definiti dai processi politici interni, il produce risorse da mettere in campo sulla scena mondiale.

Come la politica internazionale influisce sulla politica interna

Molti eventi internazionali hanno dimostrato come tale politica possa influire sulla cena interna degli stati stessi: le guerre hanno consolidato i regimi vincitori e fatto cadere i perdenti. Fenomeni economico-sociali come la globalizzazione hanno influito sui sistemi di cooperazione economica e assetti commerciali interni agli stati stessi.

Le trasformazioni del sistema internazionale dopo la seconda guerra mondiale

Un’attenzione particolare meritano da un lato lo sviluppo di organizzazione formalizzate di carattere civile, di portata sia globale(l’Onu, il Fondo monetario internazionale,la Wto o Omc(organizzazione mondiale del commercio) sia regionale (Ue,Efta,l’Organizzazione per l’unità africana,ecc.), dall’altro la formazione di grandi e durevoli allenaze militari(Nato e Patto di Varsavia) e sulla base di esse del sistema bipolare, e infine l’ascesa di attori non statali sulla scena mondiale.

Un sistema a due blocchi: tra alleanze militari che hanno portato all’estremo il problema della sicurezza, con l’invenzione delle armi nucleari, e le alleanze civili che hanno assicurato,invece, un equilibrio di pace tra le varie forze mondiali. In particolare va osservato il divario tra superpotenze e altri stati aderenti alle due alleanze.

Un nuovo assetto sistemico in Europa

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Europa ha visto uno sviluppo organizzativo senza precedenti. Partendo dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio,poi la Comunità economica europea e successivamente la Comunità europea e l’Unione europea, si potuto osserva la sua espansione ed influenza.

L’Unione europea ha adottato sin dalla sua nascita, forme istituzionali peculiari:

  • Commissione

  • Consiglio dei ministri

  • Parlamento europeo

  • Corte di giustizia

  • Comitato economico sociale

  • Banca europea degli investimenti

  • Coreper(il comitato dei rappresentanti permanenti europei)

  • Consiglio europeo

  • Comitato delle regioni

  • La BCE

  • L’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, etc..

Questo reticolo di istituzioni ha consentito di realizzare in settori specifici,ma progressivamente più estesi di policy, livelli di delega di autorità dagli stati nazionali a un’organizzazione internazionale e ,grazie a questi, di omogeneizzazione delle politiche pubbliche quali non esistono in alcun’altra regione del sistema internazionale.”(Scienza politica – Della Porta)

Espansione territoriale della Comunità

L’aspetto più palese di questo dinamismo è dato dall’espansione territoriale della Comunità. L’aumento dei paesi partecipanti ha causato un aumento significativo dell’eterogeneità interna e dello stress organizzativo. Questo aspetto ci fa pensare anche ad un espandersi degli ambiti di intervento dell’Ue. L’immissione di nuovi paesi, alla formazione principale, ha portato ad una rielaborazione adattativa delle politiche esistenti, e la presa in considerazione di nuovi settori su cui lavorare.

Espansione delle competenze comunitarie

Particolarmente importanti sono le riformulazioni dei trattati iniziali, per quanto riguarda il sistema economico: una nuova regolamentazione del mercato, l’integrazione monetaria con una moneta unica che ha portato a spostare una dei simboli più importanti di sovranità nazionale, al livello europeo. L’euro ha introdotto soprattutto un sistema di ammissione all’Unione monetaria europea attraverso un trattato dove sono presenti i requisiti economici minimi, il Patto di Maastricht. Questo trattato ha creato un sistema di vincoli e di requisiti da raggiungere e mantenere da parte degli stati appartenenti o che volessero appartenere all’Ue. Tutto questo è poi stato istituzionalizzato con il Patto di stabilità e crescita.

Da sottolinearsi l’affermazione della superiorità delle norme europee su quelle nazionali.

Questa crescita,questa trasformazione di questa Europa si può osservare il fatto che non sia omogenea. L’interesse europeo si è fermato alla regolamentazione del mercato economico, escludendo qualche tipo di iniziativa per quanto riguarda i temi sociali, o di sicurezza. Ci si è spesi più per abbattere i confini doganali, che per avviare politiche di riequilibrio delle disparità economiche e sociali degli stati membri. ( ricordiamo i paesi come Spagna,Grecia, Cipro, Italia, in piena crisi economiche a causa delle politiche di Austerity europee).

Come spiegare lo sviluppo europeo

  • Tra le prime spiegazione, di come “L’Europa” si sia sviluppata, abbiamo le teorie funzionaliste, che sostengono la facilitazione delle politiche economiche all’intero della Comunità, e ad un loro relativo successo, sufficiente a rassicurare gli stati membri e a continuare una collaborazione sempre più fedele.

    Le critiche a queste teorie sono fatte in base ai tempi di risposta, di queste politiche; l’inspiegabile sviluppo discontinuo, fatto di momenti di stasi e momenti di accelerazione economica; mancanza di attenzione per le ragioni politiche.

  • Secondo la cosiddetta prospettiva interrogativa, gli sviluppi comunitari andrebbero quindi interpretati essenzialmente in termini di azioni coscienti di cooperazione stra stati che perseguono i propri interessi e che attraverso questa via riescono a risolvere i propri problemi e quindi a consolidarsi [Hoffman 1982; Milward 1992]

  • Secondo l’istituzionalismo storico, la risposta allo sviluppo comunitario, starebbe nelle stessa costruzione.

Verso una nuova <<entità politica>>

  • L’Unione europea nasce nello spazio tipico della politica internazionale, tra stati che si riuniscono, attraverso trattati internazionali, in una organizzazione per poter collaborare su alcuni campi.

  • Affianco all’aspetto internazionale, si può osservare anche diversi aspetti di politica domestica:

    – In primo luogo alcune istituzioni europee cruciali(Commissione,Parlamento, Corte di giustizia, BCE) sono costituite secondo principi piuttosto diversi da quelli prevalentemente adottati nella cooperazione internazionale e con esse gli attori governativi nazionali devono fare i conti.

    – Inoltre il processo decisionale funziona secondo principi e regole diversi da quelli utilizzati sulla scena delle relazioni internazionali.

    – Una parte cospicua delle decisioni presse dalle diverse istituzioni europee ha efficacia diretta all’interno dei paesi membri.

    – infine, bisogna osservare espandersi della sfera di competenza dell’Unione europea: dal settore economico-commerciale al mercato monetario, alle politiche di mobilità interna, a quelle culturali, a quello della cooperazione in tema di difesa e politica estera.

    Come conseguenza di ciò si è sviluppato un fitto sistema di relazioni dirette ,non più mediate dai governi nazionali, tra diversi attori sub-nazionali come gruppi di pressione e organismi comunitari.

    Se pensiamo al modello base di stato centralizzato, come paragone alla struttura dell’Ue, troviamo parecchie differenze e ambiguità. Prima fra tutte è la questione di difficile definizione della gerarchia di autorità. Ambigua la capacità di ogni stato di sottrarsi alle politiche stabilita dalla comunità europea.

  • Per capire l’Ue possiamo definirla come un modello multi-level governance che ci fa capire come la politica comunitaria agisca su più livelli di rapporti con i diversi attori nazionali, sovranazionali e sub-nazionali.

Quanto democratica è l’Unione europea?

In questa prospettiva va analizzato il presunto problema di deficit democratico. Il punto può essere affrontato sia in una prospettiva normativa(quanto dovrebbe diventare democratica), sia in una prospettiva empirica statica (quanto è oggi democratica o non democratica L’Ue) o in una prospettiva dinamica previsionale (quali sono le probabilità che l’Ue diventi più democratica.)

La prospettiva normativa

Come è noto,le forme concrete di democrazia rappresentano un bilanciamento delle esigenze diverse: controllo popolare, ma anche divisione del potere; principio di maggioranza,ma rispetto delle minoranze; stabilità ed efficacia dell’autorità, ma anche fedele rappresentanza delle diverse opinioni. Ma quel principio bisogna potenziare? La risposta dipende sia da scelte ideali, sia da una analisi delle necessità storiche.

La prospettiva empirica statica

Questa prospettiva si basa sull’analisi delle istituzioni fondamentali nel panorama dell’Ue:Parlamento, Consiglio dei ministri,Consiglio europeo e Commissioni tutte e quattro riconducibili al meccanismo democratico per eccellenza,cioè le elezioni.

  • Il Parlamento europeo, con elezione diretta dei suoi membri realizza, oggi, l’approssimazione maggiore a quanto avviene nelle democrazie intra-statali. Ciò che va osservato è che la mancanza di organizzazione dei partiti transnazionali come entità di riferimento per i diversi candidati locali e la pluralità di demos europei lasciano una realtà europea poco integrata nel territorio: ogni popolo,ogni candidato ha la propria individualità, e questo crea una pluralità eccessiva, e quindi una mancanza, di organizzazione per stabilire le policy. Basterebbe rafforzare l’identità partitica europea, creando un coordinamento con i vari partiti nazionali. Un po’ come negli Usa dove ogni candidato locale fa riferimenti ad uno dei due partiti nazionali al governo.

  • Per il Consiglio dei ministri e il Consiglio europeo si può dire che il livello di legittimità democratica non è diverso da quello dei governi nazionali, da membri dei quali essi sono integralmente formati.

  • Un tempo erano gli stati membri che nominavano tutta la Commissione di comune accordo, ma successivamente il ruolo del Parlamento crebbe d’importanza dopo l’introduzione del voto di fiducia. Attualmente, il presidente della Commissione è proposto dal Consiglio europeo, che decide a maggioranza qualificata. Il trattato di Lisbona impone che, nella scelta, sia tenuto conto dei risultati delle elezioni europee. Il candidato deve poi essere eletto dal Parlamento europeo a maggioranza assoluta. Se il candidato non ottiene l’elezione, il Consiglio europeo, entro un mese, deve presentare un altro candidato.

    Alla conferma della carica, il presidente della Commissione, in accordo con il Consiglio, sceglie i rimanenti commissari sulla base delle nomine proposte da ognuno degli Stati membri. Alla fine l’intera Commissione deve essere approvata dal Parlamento europeo (che ha anche facoltà di porre in essere audizioni per vagliare le candidature dei singoli commissari), per poi essere definitivamente nominata dal Consiglio europeo.

La prospettiva dinamica e previsionale

Un rafforzamento dei partiti europei produrrebbe automaticamente elezioni europee più integrate, aumenterebbe la forza del vincolo di fiducia della Commissione verso il Parlamento e quindi renderebbe anche meno indiretta la sua accountability (responsabilità) verso l’elettorato popolare. Una sincronizzazione dei processi elettorali nazionali potrebbe rendere anche molto più stabili nella loro composizione interna il Consiglio dei ministri e il Consiglio europeo.

<<Europeizzazione>> della politica nazionale e <<nazionalizzazione>> della politica europea.

Con la crescita delle istituzioni europee è indispensabile chiedersi quanto le policies eurpei incidano sui governi nazionali.

Si può sintetizzare il fenomeno usando il concetto di europeizzazione della politica nazionale: con esso si intendono tutti i processi di adattamento della politica nazionale agli sviluppi europei e agli effetti di contaminazione della politica europea su quella nazionale. Questo fenomeno si può analizzare sotto tre aspetti: polity, politics e policy.

  • Dal punto di vista della policy è facile osservare come la crescente integrazione europea abbia introdotto, in alcuni campi tipici delle politiche nazionali, politiche a raggio europeo, che hanno preso integralmente il posto delle prime o le hanno affiancate, delimitandone il campo, integrandole e stabilendo principi guida sovra-ordinati. Si pensi, per esempio, alla politica monetaria gestita non più a livello nazionale, ma a livello europeo dalla Bce (politiche di sostituzione).

  • Collegato all’aspetto delle politiche possiamo osservare come le decisoni su territorio nazionale siano prese da nuovi attori e istituzioni europee che operano secondo regole comunitarie ( Commissione, Corte di giustizia, Consiglio dei ministri ecc). Crescente è l’attenzione sui partiti europei da parte dei partiti nazionali, per trovare una legittima corrispondenza e rappresentazione a livello europeo.

  • Nel campo della polity, possiamo osservare un progressivo smantellamento dei confini nazionali, ormai estesi a quelli europei. Tutto ciò che si sposta ( che siano merci o persone) all’interno del territorio europeo risponde alle stesse regole e restrizioni. Il simbolo di una comune identità europea(la bandiera) si è progressivamente affiancato a quello nazionale, nonché il la sovranità monetaria ormai unica ed europea. Parallelamente per ogni persona oltre alla propria cittadinanza nazionale si affianca quella europea. Passi minori si son fatti per il diritto al voto, che resta ancora nazionale.

L’altro aspetto di di questo processo è quello che si potrebbe chiamare della nazionalizzazione della politica europea. Con questo termine ci si riferisce alla trasformazione della politica europea da una politica principalmente segnata dai caratteri della politica internazionale a politica nella quale sono evidenti un numero crescente di elementi propri della politica domestica degli stati.

  • Dal punto di vista della politics si rileva una crescente influenza sulla decisioni europee da parte di attori nazionali come i partiti, i gruppi di pressione ed anche il semplice cittadino ( attraverso referendum di carattere europeo).

  • Dal punto di vista delle policies abbiamo uno progressivo spostamenti di politiche tipiche nazionali, a livello europeo, si pensi alla sovranità monetaria.

  • In fine, per quanto riguarda la polity, il fatto che si parli sempre più esplicitamente di cittadinanza europea.

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Gian Carlo Caprino – A maggio è stato raggiunto un accordo di massima, tra Stati Uniti e Russia, per convocare entro l’estate a Ginevra una nuova conferenza di pace che ponga fine alla tragedia siriana. Sin qui sembrerebbe una notizia come un’altra, non degna di particolare attenzione, visto che missioni analoghe, sponsorizzate da Lega araba e ONU, si sono svolte in passato senza portare ad alcun risultato concreto; ma la vera novità è che Barack Obama ha accettato che ai prossimi negoziati di Ginevra partecipino, a pieno titolo, anche rappresentanti dell’attuale governo di Bashar Al Assad. Sino ad oggi Obama aveva chiaramente detto, per bocca del Dipartimento di Stato, che qualsiasi ipotesi di pace negoziata avrebbe dovuto avere, come precondizione, l’abbandono del potere da parte di Assad; pertanto il cambio di strategia costituisce, di fatto, una sconfitta dolorosa per la Casa Bianca.

Ma cosa ha determinato questo voltafaccia da parte della diplomazia americana? Essenzialmente la constatazione che i ribelli, malgrado l’imponente finanziamento estero e relativa fornitura di armi, stanno perdendo la guerra civile. Su tutti i fronti l’esercito regolare è al contrattacco e scaccia i ribelli verso i confini, aiutato anche da milizie territoriali lealiste (multiconfessionali, è bene rimarcarlo) e da decine di migliaia di guerrieri Hezbollah, il “Partito di Dio” del vicino Libano. Gli attacchi eseguiti da aerei israeliani all’inizio di maggio sull’area di Damasco hanno poi aggravato la situazione diplomatica e provocato una levata di scudi da parte di Lega araba e Turchia i quali, pur essendo consapevolmente complici di Israele nel tentativo di eliminare il regime di Assad e dei suoi rappresentanti, non possono permettersi il lusso di tacere, approvando di fatto azioni ostili contro uno Stato arabo compiute da quello che viene unanimemente individuato dai popoli della regione come il più feroce nemico dell’Islam, a causa della questione palestinese.

Tutto chiaro dunque, da parte di Obama? Nemmeno per sogno. Per arginare l’ira del fronte anti siriano e specificatamente dell’emiro del Qatar (che sogna di trasformare la Siria in un Califfato sunnita retto dalla shaaria), del governo turco di Erdogan (che nutre ambizioni imperiali che riportino i possedimenti turchi ad un secolo fa) e, soprattutto, di Israele (che vuole la fine del regime siriano perché è l’unico Paese confinante che non ha accettato come definitiva l’invasione della Cisgiordania, come hanno fatto a suo tempo Egitto e Giordania in cambio della pace) il Presidente USA ha subito contattato l’Europa affinché abolisca l’embargo degli armamenti ai ribelli, cosa che ubbidientemente gli organi di Bruxelles hanno recepito, e, provocatoriamente, ha inviato il senatore John McCain attraverso il confine turco in un villaggio controllato dai ribelli; quest’ultima visita ha tanto il sapore delle “missioni lampo” in Iraq ed Afghanistan. Naturalmente queste iniziative hanno sollevato le proteste di Russia e Siria che parlano, apertamente, di azioni che vanno contro la pace.

Un colpo al cerchio quindi, da parte di Obama, ed uno alla botte, per non smentire l’ambiguità di questo Presidente, ambiguità riscontrata in molte occasioni dai commentatori internazionali.
Barack Obama, insomma, sempre di più appare o come troppo debole per realizzare le aspettative quasi messianiche che hanno accompagnato la sua prima elezione (ricordiamo che nel 2009 gli è stato addirittura conferito il Nobel per la Pace) per l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale pacificato e multipolare, ovvero come un astuto simulatore che vuole mantenere e fortificare gli immensi vantaggi geopolitici che gli esiti della Guerra Mondiale prima e della Guerra fredda poi hanno assicurato agli Stati Uniti d’America; vantaggi che però vivono e si nutrono di turbolenze e destabilizzazioni in vaste aree del mondo.

Se e quando la conferenza di pace avrà luogo, data per scontata la partecipazione ai più alti livelli del governo siriano, sancirà però un principio: gli assenti avranno comunque torto. Nella disarticolata e confusa galassia della ribellione siriana, infatti, è molto probabile che l’ala più oltranzista e feroce, molto vicina all’emiro del Qatar ed alle altre dinastie tribali del Golfo Persico, non vorrà partecipare ai negoziati, perdendo così qualsiasi potere decisionale in un’eventuale accordo da sottoporre al popolo siriano; ciò comporterà, di conseguenza, la totale sconfitta politica delle monarchie tribali ed il tramonto del disegno di instaurare un Califfato sunnita in Siria, con gravi conseguenze anche al loro interno. Ma gli emirati del Golfo sono stretti vassalli di Washington; avrà dunque la forza Barack Obama di guadagnarsi qualche punto del premio Nobel per la Pace, che gli è stato assegnato a futura memoria, o preferirà, come al solito, privilegiare lo status quo, dimostrando ancora una volta la sua doppiezza?

http://www.clarissa.it/editoriale_n1892/Grandi-manovre-attorno-alla-Siria

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Dopo una tregua di quasi due giorni nella violenza in Turchia, ci sono stati questa notte di nuovo duri scontri fra polizia e manifestanti antigovernativi nella capitale Ankara e in altre città del paese. Gli agenti anti-sommossa hanno disperso con la forza una manifestazione, come sempre, pacifica, di circa 10mila oppositori a Kizilay, nel cuore di Ankara, già teatro di frequenti scontri dall’inizio della protesta. La polizia ha caricato usando lacrimogeni e cannoni ad acqua e li ha inseguiti nelle strade vicine. Ci sono stati feriti e arresti.

Ieri pomeriggio il partito islamico Akp di Recep Tayyip Erdogan, dopo un vertice di crisi con il premier a Istanbul, ha affermato che il governo aveva la situazione “sotto controllo”. Scontri nella notte sono stati registrati anche, fra l’altro, a Adana, Smirne e nel quartiere alawita di Gazi a Istanbul. Non ci sono stati incidenti invece a Piazza Taksim a Istanbul, dove una enorme folla di oppositori ha chiesto le dimissioni di Erdogan.

Decine di migliaia di manifestanti sono di nuovo scesi in piazza nel paese ieri e questa notte sfidando Erdogan, che venerdi aveva intimato ai ribelli di cessare “immediatamente” la protesta. Foto pubblicate sulle reti sociali mostrano a Adana dei militanti dell’Akp in mezzo ai poliziotti nella notte che lanciano pietre contro i manifestanti.

Migliaia di militanti del partito di governo dovrebbero accogliere oggi Erdogan all’aeroporto di Ankara. Attesi nuovi scontri. Intanto i manifestanti si preparano a una nuova protesta questo pomeriggio a Istanbul. Sul web è comparso un invito a tutti i manifestanti di riunirsi alle 16 a piazza Taksim, per continuare a protestare contro il progetto del governo turco di abbattere e demolire il Gezi Park in piazza Taksim. “Chiediamo al governo di prendere in considerazione le reazioni sociali e di agire in modo responsabile per soddisfare le esigenze che vengono espresse da milioni di persone ogni giorno”, si legge nella nota di Taksim Solidarity.

Erdogan agli elettori: diamo una lezione alla “piazza” – Il premier turco Rece Tayyip Erdogan, intanto, ha invitato i suoi elettori a “dare una lezione” ai manifestanti nelle elezioni municipali del 2014. “Mancano sette mesi alle elezioni locali. Voglio che diate a questa gente una prima lezione con un voto democratico alle urne”, ha detto il premier parlando ai suoi sostenitori giunti ad accoglierlo all’aeroporto di Adana. Le elezioni municipali si svolgeranno nel marzo del 2014.

Gli agenti hanno usato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere migliaia di manifestanti nella notte ad Ankara. Oggi pomeriggio un nuovo corteo a Taksim Square.

http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=45223&typeb=0&Turchia-cariche-e-botte-ai-manifestanti

Prigionieri dell’euro

Pubblicato: 5 giugno 2013 in Uncategorized

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Roberto Marchesi – Quello che più deve preoccupare dell’allarmante titolo di questo articolo è che non l’ho pensato io, ma l’ho copiato pari pari dal titolo che Ross Douthat, uno dei più seguiti articolisti del New York Times ha dato al suo articolo di sabato 1 giugno: “Prisoners of the Euro”. È allarmante perché, se scrive certe cose un noto articolista del Times, che sta negli Stati Uniti, dove il liberismo è talmente connaturato e consolidato nella società che il massimo di spinta a sinistra e di egualitarismo che potete trovare è quello che in Europa potrebbe tutt’al più essere riconosciuto come modesto approccio ad un vago tentativo di socialdemocrazia, allora vuol dire che siamo messi veramente male. Ma cosa scrive Douthat? Scrive esattamente questo: “Attualmente l’Unione Europea non sta promuovendo la democrazia, il liberalismo e il rispetto dei diritti umani, sta invece sottomettendo i suoi Stati più deboli ad uno straordinario test di resilienza, conducendo un sempre più perverso esperimento tendente a vedere fino a che punto le norme liberali possono essere sopportate”. È semplicemente micidiale nella sua efficacia questa frase. Douthat non fa giri di parole per trovare giustificazioni anche minimali al massacro del benessere sociale cui sono stati sottoposti in questi ultimi tre anni gli europei, va’ subito alle conclusioni e si chiede sostanzialmente se l’Europa sia finita in mano a degli squilibrati che vogliono semplicemente testare il livello di sopportazione della popolazione ad una cura di liberalismo puro iniettato a dosi massicce. Il test (stress test per la precisione) è basato sulla disoccupazione di massa cui sono stati sottoposti i popoli europei nel triennio esaminato, un periodo nel quale la disoccupazione ha raggiunto livelli di guardia assoluti per la tenuta della democrazia stessa. Quando grandi paesi industrializzati come l’Italia e la Spagna raggiungono livelli di disoccupazione giovanile pari rispettivamente al 40% e al 50% (senza contare la Grecia che è già al 60%) è impossibile non prevedere che è solo questione di tempo per arrivare a sommosse anche violente della giovane popolazione e alla nascita (già se ne vedono in giro i germogli) di movimenti e organizzazioni che punteranno all’abbattimento dello Stato democratico per affidarsi a forme autoritarie capaci di spazzare via i responsabili (irresponsabili) che ci hanno portato a questo punto. Il meccanismo perverso che ha causato tutto questo, dice Douthat (ma ormai lo abbiamo già detto in molti anche noi, su Rinascita), è la moneta unica Euro, che ha messo tutti i paesi dentro ad un recinto unico dove però c’è solo un paese, la Germania, che può muoversi a suo piacimento nel suo elemento naturale. Ora, dico io, dare tutta la colpa alla Germania è fin troppo semplicistico. La Germania non ha costruito da sola questa situazione, vi ha contribuito la sua parte. Ma per il resto ci si è trovata come tutti gli altri. Semplicemente ne ha approfittato svergognatamente. Ma questo, per chi non se ne è ancora accorto, è nella norma delle ideologie liberali. Le decisioni sono state prese da una classe dirigente all’interno degli organismi europei largamente dominata da personaggi strettamente ispirati da questa ideologia. Una ideologia che nella gestione della cosa pubblica ha sotterrato completamente ogni sentimento di solidarietà per sostituirlo con quello della competizione pura: chi vince prende tutto. Una competizione però molto anomala, perché tende a preservare tutti i diritti e i privilegi ai ricchissimi, mentre procede come un rullo compressore a cancellare tutti quelli che le classi medie e povere si erano conquistate in un secolo di lotte operaie e sindacali. Il liberalismo continua ancora a promettere quelle opportunità di crescita nella scala sociale che erano il perno del successo del liberalismo stesso, ma che ormai sono diventate per tutti un miraggio, salvo pochissime eccezioni. Il capolavoro di follia pura applicata al metodo di governo è stata la sottoscrizione di tutti gli stati Europei al Patto di Stabilità e ai vincoli di bilancio”. Mettiamo pure in ipotesi che questi personaggi, in grande maggioranza provenienti da esperienze di amministrazione dominati dall’interesse personale, abbiano fatto questa scelta in buona fede, in un momento cioè in cui la crisi in Europa non era ancora arrivata a “mordere” a questi livelli. Ma ormai è da due anni che la crisi sta affondando la corazzata Europa, possibile che ancora non abbiano capito che la prima cosa da fare è cancellare, o almeno sospendere, immediatamente quelle scellerate norme? Nei giorni scorsi, dopo che in soli due anni ci hanno già quasi completamente dissanguato in termini economici, hanno accordato all’Italia l’uscita dalla procedura di “stabilizzazione per debito eccessivo”. Aveva lo scopo di costringerci, attraverso “riforme strutturali” (leggi “tagli al welfare”), di ridurre il debito. E stato ridotto il debito? Neanche per sogno! Grazie alla crisi che ci hanno buttato addosso il debito è persino cresciuto. Ma allora, ci voleva un genio per capire, appena iniziata la fase critica della crisi (più di un anno fa!), che quella dannata regola andava sospesa subito? No, non occorreva un genio, per il semplice fatto che lo hanno fatto apposta. La scusa era quella del debito, ma lo scopo era quello di cancellare le conquiste sociali. Eppure nemmeno i partiti della nostra cosiddetta “sinistra” sono stati capaci di opporsi seriamente a questo autentico flagello sociale. Dice ancora Douthat: “In una situazione così compromessa come quella che si è venuta a creare nel durante, e ancor più in prospettiva, l’unica soluzione seria per uscire immediatamente da questa spirale perversa (che come abbiamo visto in precedenza porta inevitabilmente a mettere a serio rischio l’intero sistema democratico), è l’uscita immediata dall’euro. Con il completo recupero della propria sovranità monetaria e di gestione della propria ricchezza, ogni Stato europeo potrà finalmente dimostrare le proprie capacità senza dover dipendere da controlli (e interessi!) esterni”. Personalmente ho già sostenuto almeno due anni fa questa soluzione come la migliore. Purtroppo più passa il tempo e peggiore diventa la situazione della nostra economia, rendendo quindi più difficile anche l’ipotesi dell’uscita dall’euro, che non sarebbe in nessun caso una “passeggiata”. Tuttavia, piuttosto che l’orribile futuro certo che ci prospettano questi strateghi della “morte lenta”, meglio l’avventura dell’uscita immediata dall’euro. In fondo la forza dell’Italia non è certo l’euro, è la nostra capacità di produrre beni e servizi, e quello possiamo farlo benissimo con la lira (o altra moneta da creare). Dicono: ma dopo, chi comprerà ancora il nostro debito? Risposta: cosa centra il debito con la moneta? Il debito lo pagheremo con la nuova moneta, tutto qui. Dicono: ma gli investitori avranno paura e non compreranno più il nostro debito. Risposta: se è vero che (e credo sia vero) che gli investitori esteri sono già scappati quasi tutti dal nostro debito, il problema diventa praticamente solo interno all’Italia. E perché dovrebbero il 90% degli italiani pagare interessi da strozzini al 10% che ha in mano quasi tutto il debito italiano? In tal caso una ristrutturazione del debito risolverebbe il problema anche per le future generazioni e l’Italia potrebbe in pochi mesi ripartire alla grande.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21261