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Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l’industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “…il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Gli economisti sono fatti così, dopo avevano previsto tutto prima.Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta… Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell’ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla.

Gianni Petrosillo
Fonte: http://www.conflittiestrategie.it
Link: http://www.conflittiestrategie.it/linganno-delleuroamerica-sotto-il-vestito-dellideologia-tutto

http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=11984

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Gian Carlo Caprino – A maggio è stato raggiunto un accordo di massima, tra Stati Uniti e Russia, per convocare entro l’estate a Ginevra una nuova conferenza di pace che ponga fine alla tragedia siriana. Sin qui sembrerebbe una notizia come un’altra, non degna di particolare attenzione, visto che missioni analoghe, sponsorizzate da Lega araba e ONU, si sono svolte in passato senza portare ad alcun risultato concreto; ma la vera novità è che Barack Obama ha accettato che ai prossimi negoziati di Ginevra partecipino, a pieno titolo, anche rappresentanti dell’attuale governo di Bashar Al Assad. Sino ad oggi Obama aveva chiaramente detto, per bocca del Dipartimento di Stato, che qualsiasi ipotesi di pace negoziata avrebbe dovuto avere, come precondizione, l’abbandono del potere da parte di Assad; pertanto il cambio di strategia costituisce, di fatto, una sconfitta dolorosa per la Casa Bianca.

Ma cosa ha determinato questo voltafaccia da parte della diplomazia americana? Essenzialmente la constatazione che i ribelli, malgrado l’imponente finanziamento estero e relativa fornitura di armi, stanno perdendo la guerra civile. Su tutti i fronti l’esercito regolare è al contrattacco e scaccia i ribelli verso i confini, aiutato anche da milizie territoriali lealiste (multiconfessionali, è bene rimarcarlo) e da decine di migliaia di guerrieri Hezbollah, il “Partito di Dio” del vicino Libano. Gli attacchi eseguiti da aerei israeliani all’inizio di maggio sull’area di Damasco hanno poi aggravato la situazione diplomatica e provocato una levata di scudi da parte di Lega araba e Turchia i quali, pur essendo consapevolmente complici di Israele nel tentativo di eliminare il regime di Assad e dei suoi rappresentanti, non possono permettersi il lusso di tacere, approvando di fatto azioni ostili contro uno Stato arabo compiute da quello che viene unanimemente individuato dai popoli della regione come il più feroce nemico dell’Islam, a causa della questione palestinese.

Tutto chiaro dunque, da parte di Obama? Nemmeno per sogno. Per arginare l’ira del fronte anti siriano e specificatamente dell’emiro del Qatar (che sogna di trasformare la Siria in un Califfato sunnita retto dalla shaaria), del governo turco di Erdogan (che nutre ambizioni imperiali che riportino i possedimenti turchi ad un secolo fa) e, soprattutto, di Israele (che vuole la fine del regime siriano perché è l’unico Paese confinante che non ha accettato come definitiva l’invasione della Cisgiordania, come hanno fatto a suo tempo Egitto e Giordania in cambio della pace) il Presidente USA ha subito contattato l’Europa affinché abolisca l’embargo degli armamenti ai ribelli, cosa che ubbidientemente gli organi di Bruxelles hanno recepito, e, provocatoriamente, ha inviato il senatore John McCain attraverso il confine turco in un villaggio controllato dai ribelli; quest’ultima visita ha tanto il sapore delle “missioni lampo” in Iraq ed Afghanistan. Naturalmente queste iniziative hanno sollevato le proteste di Russia e Siria che parlano, apertamente, di azioni che vanno contro la pace.

Un colpo al cerchio quindi, da parte di Obama, ed uno alla botte, per non smentire l’ambiguità di questo Presidente, ambiguità riscontrata in molte occasioni dai commentatori internazionali.
Barack Obama, insomma, sempre di più appare o come troppo debole per realizzare le aspettative quasi messianiche che hanno accompagnato la sua prima elezione (ricordiamo che nel 2009 gli è stato addirittura conferito il Nobel per la Pace) per l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale pacificato e multipolare, ovvero come un astuto simulatore che vuole mantenere e fortificare gli immensi vantaggi geopolitici che gli esiti della Guerra Mondiale prima e della Guerra fredda poi hanno assicurato agli Stati Uniti d’America; vantaggi che però vivono e si nutrono di turbolenze e destabilizzazioni in vaste aree del mondo.

Se e quando la conferenza di pace avrà luogo, data per scontata la partecipazione ai più alti livelli del governo siriano, sancirà però un principio: gli assenti avranno comunque torto. Nella disarticolata e confusa galassia della ribellione siriana, infatti, è molto probabile che l’ala più oltranzista e feroce, molto vicina all’emiro del Qatar ed alle altre dinastie tribali del Golfo Persico, non vorrà partecipare ai negoziati, perdendo così qualsiasi potere decisionale in un’eventuale accordo da sottoporre al popolo siriano; ciò comporterà, di conseguenza, la totale sconfitta politica delle monarchie tribali ed il tramonto del disegno di instaurare un Califfato sunnita in Siria, con gravi conseguenze anche al loro interno. Ma gli emirati del Golfo sono stretti vassalli di Washington; avrà dunque la forza Barack Obama di guadagnarsi qualche punto del premio Nobel per la Pace, che gli è stato assegnato a futura memoria, o preferirà, come al solito, privilegiare lo status quo, dimostrando ancora una volta la sua doppiezza?

http://www.clarissa.it/editoriale_n1892/Grandi-manovre-attorno-alla-Siria